Se fossimo

UN LUOGO

(saremmo, per esempio)

  • Il terrazzo di Alan Shore e Danny Crane, dove ogni sera si brinda a Boston a un’amicizia illegale tra un avvocato vecchia gloria, repubblicano, egolatra, edonista, iperbolico e fragile e un altro avvocato all’apice del successo, democratico, egolatra, edonista, idealista e incoercibile.

  • La contea Yoknapatawpha, una Lady Macbeth istigatrice di invitti orsi furiosi, tuonanti nomi biblici ripetuti due volte, strade scarlatte con palme selvagge e un fiotto di luce d’agosto come esploso da un idrante.

  • Newark, che ha il geniale privilegio di far incontrare Philip Roth e Tony Soprano. A non troppe piscine di distanza, del resto, dalla terra piena di idee nel West Side di Bellow né dalle roulette cinesi nella Tarbox di Updike.

  • L’Hermitage di Sanpietroburgo, le sue sale e le monumentali rampe di scale da cui discendono su lucidi tacchi di stivali e stivaletti le anime non morte di Sokurov, inarcandosi, al di là del delitto e del castigo, sul Tempo.

  • Il Metrò, quello che passa dopo l’ultimo, e Zazie che ci salta su e ringiovanisce, anzichenò.

 

OGGETTI O COSE:

  • La palla che D.Thomas lanciò giocando nel parco e che non ha ancora raggiunto il suolo; magari perché si è trasformata in astronave: lassù per sempre, nella scacchiera dello Spazio.

  • Le fortificazioni di Loudun che Grandier ha la fermezza di difendere e il talento di trasformarle in un terrazzo sotto le stelle. Tali raggi di pura indipendenza sono la nostra ragion pratica.

  • Il piccolo lembo di muro giallo, e la preziosa materia di cui è fatto, che Bergotte scorge guardando la veduta di Delft, pensando a Vermeer che magari lo ricomincia venti volte, e così attracca a un “mondo diverso, fondato sulla bontà, scrupolo e sacrificio, un mondo totalmente diverso da questo.” E si ripeteva “piccolo lembo di muro giallo”, quasi fosse il suo proprio nome.

  • L’epigrafe sotto l’autoritratto di De Chirico che recita: Et quid amabo nisi quod rerum metaphysica est? (E cosa se non la metafisica delle cose io amerò?).

 

UN PERSONAGGIO :

  • Daniel D’Arthez, che consiglia nella scrittura Lucien, per il quale il talento senza conoscenze metafisiche è un’ illusione e che “studiava il mondo scritto e il mondo vivente, il pensiero e l’azione”. Noi qui, novelli Doinel, accendiamo un cero a Daniel.

  • Efesto che con fuoco Eracliteo forgia lo scudo d’Achille in cui sfilano e scintillano immagini di tutto il mondo visibile. Una fiammeggiante illustrazione della fenomenologia (scene raffigurate perché siano cantate).

  • Il narratore di Tempo di uccidere che si sospetta un perditempo, ossia sospinto dall’amore per le imprese inutili, come ogni lettore edonista.

 

UNA PAROLA:

  • Corri, imperativo di seconda persona, quel dar tu al lettore, dirgli Prova a prendermi.

  • Mano, sostantivo femminile, che anima marionette e traccia ombre cinesi, aggiudicata alla sinuosa sostanza concreta del mondo e agli illusionismi; mano di Borges (o di Omero o di Milton), che sostituisce i suoi propri occhi e compulsa la mappa della Cina grande quanto la Cina, e altrettanto toccante – corre la mano a scriverne.


UN TEMPO:

  • l’età del jazz.